Van Der Graaf Generator in Italia, 2011
Da sempre c’è stato un feeling fra i Van Der Graaf Generator ed il pubblico italiano, ed il legame era evidentissimo mentre il pubblico andava affollandosi sul piazzale dell’elegante Conservatorio di Milano: erano palpabili l’emozione, l’eccitazione e la percezione di sentirsi uniti, confratelli, di fronte all’evento di un incombente spettacolo di culto e di cultura, una delle rare occasioni in questa epoca barbara di “sottocultura” televisiva e ottusità di marketing (l’era glaciale della finanza?).
La cornice del Conservatorio, poi, si presta particolarmente a fare da scenario naturale per una band di questo spessore - quanto pareva fuori posto rivederli qualche giorno dopo in un palazzetto dello sport. Una band come i VDGG dovrebbe suonare in scenari all’altezza della sua musica, da piazze lastricate ad anfiteatri antichi. Purtroppo il suo pubblico non è abbastanza numeroso per permetterlo sempre: carbonari della musica perduta, non tanti ma tanto innamorati.
Lo show dei Van Der Graaf Generator non è un semplice concerto. È piuttosto un rito, una evocazione gotica e pagana, un viaggio nell’oceano verso il gorgo del Maelstrom; è una mistica evocazione del Kraken. L’intera orchestra è rappresentata da due soli musicisti, che suonano però almeno per quattro: Guy Evans batte sui tamburi da elemento ritmico e solista assieme; Hugh Banton suona l’organo ed il synt, asseconda il pianoforte di Peter, e non lascia riposare neppure le gambe pigiando senza riposo sui pedali del basso, tutto all’unisono. “Come può una band suonare senza un basso?” si chiedeva Jerry Garcia, ma lui si riferiva ai Doors di Jim Morrison e Ray Manzarek. Peter, convoca Nic Potter!
I sacerdoti del rito sono Peter Hammill, l’artista che oggi alla Voce aggiunge piano e chitarra elettrica, e David Jackson ai suoi melodici e potenti sassofoni. Ma siccome Jaxon non c’è più dai tempi di un brutto litigio con la band, PH è restato solo a celebrare. I temi gotici dei Van Der Graaf si prestano ad essere evocati da lunari lavori come Man-Erg, Killers, Darkness, Refugees; Plague Of Lighthouse Keepers persino (se non fosse che quest’ultima non viene purtroppo mai suonata nel repertorio live della band). Al contrario, gli show di questo tour 2011 sono concentrati - legittimamente - sui due lavori più recenti, quelli del “trio”, come ci si riferisce ormai parlando dell’ultima reincarnazione del generatore. Ed è proprio con Interference Patterns e Mr Sands (che la prima sera mi erano sembrate addirittura identiche nella loro omologazione) che il vascello prende il largo, con l’equipaggio del pubblico e i traghettatori della band. Brani recenti che non evocano più di un po’ di burrasca, quanto basta per spaventare il cuore dell’equipaggio. La ballata lenta di Your Time Starts Now piace ai fan, ma a me pare persino un po’ banale, ed il suo contraltare di Lifetime è più da album solista di PH che da VDGG. Lemmings a Milano manca di qualche cosa: è il sax?
Cambia l’atmosfera con la lunga, incantata, ipnotica Meurglys III. Bellissima, è uno di quei magici momenti che vorresti non finissero mai; la burrasca si fa Tempesta, la magia si realizza ed il Kraken è evocato; se ne percepiscono i tentacoli fra la schiuma nera del mare. A Milano i momenti magici comprendono anche una selvaggia Childlike Faith in Childhood's End e il bis immoto di Still Life. A Cesena invece spunta Man-Erg, un’emozionante esplosione di musica che risucchia il pubblico nel vortice ipnotico del maelstrom. A Vicenza (dove però io non c’ero) va persino meglio, quando Bunsho è seguito da Gog e dalla amatissima La Rossa, e con The Sleepwalkers come bis.
A Roma per la prima data mi dicono che la band è apparsa un po’ frenata; a Milano PH è sembrato soffrire nei pezzi nuovi, molto complessi, dove la tensione di suonare sembrava smorzargli anche il canto, che si trasforma, si alza e si fa forte solo nell’esecuzione dei classici. A Cesena (ed a Vicenza) i brani nuovi invece paiono trasformati, la band è sicura e Peter canta con furore fin dall’inizio. La scaletta è la stessa, ma la sensazione molto diversa. I migliori fra i pezzi nuovi sono All Over The Place da A Grounding In Numbers e Over The Hill da Trisector. Quasi classici.
A Cesena per l’ultima tappa del tour italiano il pubblico è in visibilio e lo dimostra con applausi continui a scena aperta a sottolineare i momenti più lirici ed intensi. Peccato solo che il trio non abbia rispettato la promessa di una “grande sorpresa” per l’ultima serata del tour italiano. Il concerto è stato splendido, ma la lunghezza la stessa, la scaletta grosso modo pure e il bis sempre e solo uno.
La Tempesta Perfetta? No, ma forse quasi. Come dice Peter, raggiungere la perfezione significherebbe smettere di cercare e fermarsi, e lui vuole andare avanti.
Anche questa volta i Van Der Graaf Generator sono passati. Essere testimoni di un loro concerto non è solo un grande piacere. È un avvenimento, è un onore ed un privilegio. Una pietra miliare che resta nel tempo scritta nella nostra storia personale di ascoltatori della Musica. Chi c’era lo sa.
Blue Bottazzi BEAT
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