VDGG Do Not Disturb


Esoteric Antenna, settembre 2016


Aloft (7:20)
Alfa Berlina (6:40)
Room 1210 (6:48)
Forever Falling (5:40)
Shigata Ga Nai (2:29)
6. (Oh No, I Must Have Said) Yes (7:44)
7. Brought to Book (7:57) 
8. Almost the Words (7:54) 
9. Go (4:35)    

brani di Banton, Evans, Hammill 
prodotto da VDGG
registrato a Stage2 Studios, Bath, 26-30 ottobre 2015
overdub registrate a Terra Incognita, The Organ Workshop e Over The Hill, da:

Hugh Banton: organo, tastiere, basso, fisarmonica, glockenspiel 
Guy Evans: batteria e percussioni   
Peter Hammill: voce, piano e chitarre  

Do Not Disturb è un disco anacronistico. Un disco che sa di anni '70. Il che fa parte del gioco, naturalmente. Per una serie di motivi.
Motivo numero 1: perché i VDGG sono un gruppo degli anni settanta.
Numero 2: perché i tre musicisti vivono la seconda metà della loro sesta decade. Lo stesso Hammill ha ammesso di non ascoltare molta (o affatto) musica altrui, negli ultimi anni. Il che lo pone in una specie di bolla temporale.
Numero 3: perché anche per il gruppo Do Not Disturb è un capitolo particolare.
Già questi VDGG Mk III si erano rimessi assieme all'inizio del nuovo millennio dopo che i musicisti si erano resi conto di incontrarsi ormai troppo spesso in occasione dei funerali. “Ora o mai più” avevano pensato. Nel 2005, poi, il gruppo si era ridotto ad un trio, dopo aver perso il sassofonista David Jackson, la persona che più si avvicinava ad un secondo leader della formazione. Questa reincarnazione dei VDGG si sarebbe dimostrata, a sorpresa, la più longeva di tutte.

Nel raccogliere le idee per Do Not Disturb, Peter Hammill ha realizzato che, per motivi anagrafici, c'è una possibilità che ogni album possa essere l'ultimo. E così ha cominciato ad lavorare ad un possibile capitolo conclusivo di una storia tanto leggendaria.
I testi sono tutti rivolti al passato, al ricordo se non al rimpianto. Ma lo sono anche le musiche e le atmosfere: mentre i recenti lavori del trio, Trisector e ancora di più A Grounding In Numbers, si sforzavano di costruire un suono in qualche modo contemporaneo, che appoggiandosi alle tastiere di Hugh Banton non facesse percepire troppo la mancanza del sax di Jaxon (impresa titanica), Do Not Disturb vive nel passato. In effetti pare proprio il seguito naturale di World Record, del 1976, più di qualsiasi altra cosa registrata nel frattempo. Questo è una buona ragione per comprendere com'è che il disco sia stato presentato con tanto entusiasmo da Hammill, e accolto con pari entusiasmo dai fan.

Ma al netto di ogni premessa, desiderio, speranza, com'è davvero DND nella lunga e leggendaria storia dei Van Der Graaf Generator?
Un disco tanto difficile quanto intrigante. I VDGG non sono tagliati per il successo: se DND può essere il loro commiato, non è stato realizzato per lasciarsi ascoltare da chi la band non l'ha voluta udire (ed amare) in tutti questi anni.
Il disco è un labirinto oscuro di magia nera, nei suoi momenti migliori un criptico gioiello di musica gotica. Lirico come World Record, complicato e stregato come Pawn Hearts.
Già la registrazione: non c'è il suono moderno, l'apertura dinamica dei dischi del duemila. Al contrario è tanto essenziale quanto chiusa e claustrofobica, non rifinita. Si avverte spesso la necessità di aggrapparsi ad un sax, ad un violino, che aiuti l'ascoltatore: niente, al massimo ad aiuto dell'organo di Banton intervengono la chitarra elettrica o una fisarmonica. Qualche coro, un tappeto di tastiere, ritmi dispari. Non è musica per principianti, né da ascoltare in auto.
È un viaggio, un maelstrom sonoro, un signore degli anelli (il libro, non il film) che si dipana per nove lunghe tracce per la durata complessiva di un'ora (sul vinile due brani sono tagliati), un incantesimo che vive dal tramonto all'alba. Un disco fuori dal tempo e fuori dalle mappe tracciate.

È inutile descrivere i brani uno per uno, giacché sono tutti elementi di un solo percorso (tranne forse l'orecchiabile Alfa Berlina, dedicata all'auto con cui il tour manager italiano Maurizio Salvadori portava a spasso il gruppo nei tour dei primi anni settanta; una canzone che potrebbe passare in radio). Un percorso che cresce dall'apertura di Aloft fino alle canzoni finali, le più intense, ed il commiato di Go: “in the end it's all behind you / it's time to let go”.
È un peccato che non sia stato compiuto lo sforzo di produzione di farne una suite unica senza soluzione di continuo.

Alla fine della storia, ancora una volta un disco per pochi, come per pochi è stata e rimarranno i Van Der Graaf Generator.

Rating del recensore: ★★★★