Peter Hammill > PNO GTR VOX Live Performances


Fie! Records, 10 ottobre 2011

disc 1 "What if I forgot my guitar?"


1. Easy to Slip Away (da Chameleon in the Shadow of the Night) 
2. Time Heals (da Over) 
3. Don t Tell Me (da Enter K) 
4. Shell (da Skin) 
5. Faculty X (da pH7) 
6. Nothing Comes (da Everyone You Hold) 
7. Gone Ahead
8. Friday Afternoon (da Singularity) 
9. Traintime (da Patience) 
10. Undone (da Thin Air) 
11. The Mercy (da Thin Air) 
12. Stranger Still (da Sitting Targets) 
13. Vision (da Fool's Mate) 


disc 2 "What if there were no piano?"


1. Comfortable (da Patience) 
2. I Will Find You (da Fireships) 
3. Driven (da Clutch) 
4. The Comet, the Course, the Tail (da In Camera) 
5. Shingle Song (da Nadir's Big Chance) 
6. Amnesiac (da X My Heart) 
7. What s it Worth? (da Chameleon...) 
8. Ship of Fools (da Vital) 
9. Slender Threads (da Chameleon…) 
10. Happy Hour (da Enter K) 
11. Stumbled (da Thin Air) 
12. Central Hotel (da Sitting Targets) 
13. Modern (da The Silent Corner and the Empty Stage) 
14. Ophelia (da Sitting Targets) 


brani di Peter Hammill
registrato nel tour del 2010 in UK e Giappone

Peter Hammill: voce, piano, chitarra


PH in concerto per sola voce, accompagnata dal pianoforte oppure dalla chitarra acustica, è probabilmente il modo più vero, essenziale, vergine di testimoniare le sue canzoni. Nessun arrangiamento, nessun belletto, nessuna influenza (prog, new wave, soft) ma solo la sua nuda creazione. Tanto che i pezzi cantati ed ascoltati in questa veste diventano estremamente omogenei, e le differenze di epoca (parecchi decenni) e di “genere” scompaiono di fronte alla nuda anima, che si più che mai contemporanea o per meglio dire fuori dal tempo.

Il disco è registrato in UK ed in Giappone, ed è stato organizzato in un modo originale: mentre PH dal vivo cambia postazione dal pianoforte o alla chitarra ogni tre o quattro canzoni, qui ha messo su un CD tutte le canzoni per piano e sul secondo quelle per chitarra, chiamando i due rispettivi dischi “cosa se avessi dimenticato la mia chitarra?” e “cosa se non ci fosse il piano?”; aggiungendo il valore aggiunto del paradosso (i suoi testi sono così ricchi di giochi di parole da essere difficilmente comprensibili per intero, specie ad uno spettatore italiano) che nel disco dove compare la parola “chitarra” si suona il pianoforte, e viceversa.

C’è almeno un precedente, Typical Solo Performances, registrato nel 1992 ed edito nel 1999, in cui PH registrava un suo concerto acustico per piano e/o chitarra. Più una seconda testimonianza degli show dello stesso anno, In The Passionkirche Berlin 92, per CD o DVD. Non a caso Typical è “tipicamente” citato come il disco preferito di PH dalla gran parte dei suoi fedeli fan.

Rispetto a Typical la scelta dei brani è forse meno orientata ai pezzi più famosi, ma il risultato è parimenti straordinario. Bastano tre o quattro ascolti perché chi conosce PH ami totalmente il disco, non so quanti per i neofiti della sua arte - ma vale assolutamente la pena di provarci; in particolare per chi è già orientato all’ascolto di canzoni di una certa profondità, come, tanto per mettere l’acquolina, a quelle del miglior Nick Cave.

leggi anche Blue Bottazzi BEAT


consigli per l'acquisto:

rating del recensore: ★★★★

la band

i Van Der Graaf Generator in formazione completa in una foto del 1969 tratta da The Least We Can Do: Peter Hammill, Hugh Banton, Nic Potter, Guy Evans, David Jackson...

da sx a dx: Hugh, Guy, Peter, Nic, Jaxon...

Van Der Graaf Generator in Italia, 2011



Da sempre c’è stato un feeling fra i Van Der Graaf Generator ed il pubblico italiano, ed il legame era evidentissimo mentre il pubblico andava affollandosi sul piazzale dell’elegante Conservatorio di Milano: erano palpabili l’emozione, l’eccitazione e la percezione di sentirsi uniti, confratelli, di fronte all’evento di un incombente spettacolo di culto e di cultura, una delle rare occasioni in questa epoca barbara di “sottocultura” televisiva e ottusità di marketing (l’era glaciale della finanza?).
La cornice del Conservatorio, poi, si presta particolarmente a fare da scenario naturale per una band di questo spessore - quanto pareva fuori posto rivederli qualche giorno dopo in un palazzetto dello sport. Una band come i VDGG dovrebbe suonare in scenari all’altezza della sua musica, da piazze lastricate ad anfiteatri antichi. Purtroppo il suo pubblico non è abbastanza numeroso per permetterlo sempre: carbonari della musica perduta, non tanti ma tanto innamorati.
Lo show dei Van Der Graaf Generator non è un semplice concerto. È piuttosto un rito, una evocazione gotica e pagana, un viaggio nell’oceano verso il gorgo del Maelstrom; è una mistica evocazione del Kraken. L’intera orchestra è rappresentata da due soli musicisti, che suonano però almeno per quattro: Guy Evans batte sui tamburi da elemento ritmico e solista assieme; Hugh Banton suona l’organo ed il synt, asseconda il pianoforte di Peter, e non lascia riposare neppure le gambe pigiando senza riposo sui pedali del basso, tutto all’unisono. “Come può una band suonare senza un basso?” si chiedeva Jerry Garcia, ma lui si riferiva ai Doors di Jim Morrison e Ray Manzarek. Peter, convoca Nic Potter!
I sacerdoti del rito sono Peter Hammill, l’artista che oggi alla Voce aggiunge piano e chitarra elettrica, e David Jackson ai suoi melodici e potenti sassofoni. Ma siccome Jaxon non c’è più dai tempi di un brutto litigio con la band, PH è restato solo a celebrare. I temi gotici dei Van Der Graaf si prestano ad essere evocati da lunari lavori come Man-Erg, Killers, Darkness, Refugees; Plague Of Lighthouse Keepers persino (se non fosse che quest’ultima non viene purtroppo mai suonata nel repertorio live della band). Al contrario, gli show di questo tour 2011 sono concentrati - legittimamente - sui due lavori più recenti, quelli del “trio”, come ci si riferisce ormai parlando dell’ultima reincarnazione del generatore. Ed è proprio con Interference Patterns e Mr Sands (che la prima sera mi erano sembrate addirittura identiche nella loro omologazione) che il vascello prende il largo, con l’equipaggio del pubblico e i traghettatori della band. Brani recenti che non evocano più di un po’ di burrasca, quanto basta per spaventare il cuore dell’equipaggio. La ballata lenta di Your Time Starts Now piace ai fan, ma a me pare persino un po’ banale, ed il suo contraltare di Lifetime è più da album solista di PH che da VDGG. Lemmings a Milano manca di qualche cosa: è il sax?
Cambia l’atmosfera con la lunga, incantata, ipnotica Meurglys III. Bellissima, è uno di quei magici momenti che vorresti non finissero mai; la burrasca si fa Tempesta, la magia si realizza ed il Kraken è evocato; se ne percepiscono i tentacoli fra la schiuma nera del mare. A Milano i momenti magici comprendono anche una selvaggia Childlike Faith in Childhood's End e il bis immoto di Still Life. A Cesena invece spunta Man-Erg, un’emozionante esplosione di musica che risucchia il pubblico nel vortice ipnotico del maelstrom. A Vicenza (dove però io non c’ero) va persino meglio, quando Bunsho è seguito da Gog e dalla amatissima La Rossa, e con The Sleepwalkers come bis.
A Roma per la prima data mi dicono che la band è apparsa un po’ frenata; a Milano PH è sembrato soffrire nei pezzi nuovi, molto complessi, dove la tensione di suonare sembrava smorzargli anche il canto, che si trasforma, si alza e si fa forte solo nell’esecuzione dei classici. A Cesena (ed a Vicenza) i brani nuovi invece paiono trasformati, la band è sicura e Peter canta con furore fin dall’inizio. La scaletta è la stessa, ma la sensazione molto diversa. I migliori fra i pezzi nuovi sono All Over The Place da A Grounding In Numbers e Over The Hill da Trisector. Quasi classici.
A Cesena per l’ultima tappa del tour italiano il pubblico è in visibilio e lo dimostra con applausi continui a scena aperta a sottolineare i momenti più lirici ed intensi. Peccato solo che il trio non abbia rispettato la promessa di una “grande sorpresa” per l’ultima serata del tour italiano. Il concerto è stato splendido, ma la lunghezza la stessa, la scaletta grosso modo pure e il bis sempre e solo uno.
La Tempesta Perfetta? No, ma forse quasi. Come dice Peter, raggiungere la perfezione significherebbe smettere di cercare e fermarsi, e lui vuole andare avanti.
Anche questa volta i Van Der Graaf Generator sono passati. Essere testimoni di un loro concerto non è solo un grande piacere. È un avvenimento, è un onore ed un privilegio. Una pietra miliare che resta nel tempo scritta nella nostra storia personale di ascoltatori della Musica. Chi c’era lo sa.

Blue Bottazzi BEAT


Van Der Graaf Italian Tour 2011


Blue Bottazzi & VDGG


da sinistra a destra: Peter Hammill, Blue, Hugh Banton, Guy Evans

Sono passati. Anche questa volta. Arrivati, Roma, Milano, Vicenza, Cesena. Hanno incantato il pubblico e sono ripartiti. Vederli è stato un grande piacere ed un grande onore. A cui ho unito il privilegio di passare un po' di tempo nell'intimità della band. Non il genere di esperienza che si scordi.

Roma, Parco della Musica, 4 aprile 2011:

Interference Patterns
Mr Sands
Your Time Starts Now
All That Before
Lifetime
Bunsho
Childlike Faith in Childhood's End
All Over The Place
Over The Hill
(We Are) Not Here
Man-Erg
+
Scorched Earth

Milano, Conservatorio, 7 Aprile:

Interference Patterns
Mr Sands
Your Time Starts Now
Lemmings
Lifetime
Bunsho
Meurglys III
All Over The Place
Over The Hill
(We Are) Not Here
Childlike Faith in Childhood's End
+
Still Life

Vicenza, Teatro Comunale, 8 aprile:

Interference Patterns
Mr Sands
Your Time Starts Now
Scorched Earth
Lifetime
Bunsho
Gog
La Rossa
All Over The Place
Over The Hill
Man-Erg
+
The Sleepwalkers

Cesena, Palasport, 9 aprile 2011:

Interference Patterns
Mr Sands
Your Time Starts Now
All That Before
Lifetime
Bunsho
Meurglys III
All Over The Place
(We Are) Not Here
Over The Hill
Man-Erg
+
Scorched Earth

PS: il mio ringraziamento speciale va a Emilio Maestri e al PH & VDGG Study Group, per avermi introdotto nel sancta sanctorum della band ed oltre. Ed al trio per avermici accolto.

Trovate una recensione dello show su Blue Bottazzi BEAT.

VDGG > A Grounding In Numbers


Esoteric Recordings, marzo 2011


Your Time Starts Now
Mathematics
Highly Strung
Red Baron
Bunsho
Snake Oil
Splink
Embarassing Kid
Medusa
Mr. Sands
Smoke
5533
All Over The Place

brani di Banton, Evans, Hammill
prodotto da Peter Hammill
registrato dal 3 al 9 aprile 2010 ai Propagation House Studios nel Devon e a Terra Incognita da:

Hugh Banton: organo e basso, harpsicord, piano, glockenspiel, basso a 10 corde
Guy Evans: batteria e percussioni; chitarra su (12)
Peter Hammill: voce, piano, chitarre, basso ashbory su (7)

Uno dei dischi più pensati, arrangiati, complessi dei VDGG dai tempi di Pawn Hearts. Evidentemente la voglia di farcela senza il sassofono di David Jackson è tanta. A Grounding In Numbers dura quasi un’ora, ma è un concentrato di idee, un liofilizzato che cresce nel tempo. Un lungo fluire di musica lungo tredici episodi legati l’uno all’altro da un filo logico e coerente, quasi a creare una unica composizione. Un complicato nodo gordiano che si srotola lentamente e faticosamente ascolto dopo ascolto alle orecchie dell’ascoltatore attento e paziente (e aggiungerei anche un po’ colto). Venuta meno l’altra personalità dominante della band (quella di Jackson, appunto), resta Hammill a farla da padrone in quello che potrebbe apparire un disco solista rivestito però dei preziosi arrangiamenti che nella povertà francescana dei suoi dischi mancano (recentemente) quasi del tutto. Le idee, gli spunti, le musiche sono molti/e; quello che però manca con evidenza è il lirismo liberatorio di Jackson, il suo sax che con le sue note emozionanti riusciva a limare gli angoli spigolosi della sperimentazione della musica del generatore, l’improvvisazione e il guizzo libero degli strumenti che sul disco pare bandito. Non a caso la geometria non convenzionale della voce di Hammill e gli arrangiamenti basati largamente sulle tastiere portano talora alla mente i momenti migliori di un’altra raffinata band dell’era progressive, i Gentle Giant. Il disco inizia dalla fine, da una Your Time Starts Now che ha tutte le caratteristiche del brano lento di chiusura; e si sviluppa ora fra echi progressive (Highly Strung, Mr. Sands, Bunsho), ora ritmi funky (Smoke, 5533), ora temi sci-fi (Medusa, Splink) ed esercizi della fantasia (Mathematics), legando l’ascoltatore ad un disco comunque splendido per chi ha la voglia di ascoltarlo, un disco che ricambia lo sforzo non consumandosi neppure dopo mille ascolti. Ma forse con il rimpianto che Jaxon avrebbe saputo aggiungere più di un tocco d’anima e di umanità.

brani inseriti nel live show:

consiglio per l’acquisto: non per nuovi alla band. Un concentrato dei VDGG in formato trio.

rating del recensore: ★★★